Festa di San Sebastiano

Ultima modifica 17 maggio 2022

"San Bastianu, cavaleri ranni / cavaleri di Diu senza disinni / quannu lu ‘ssicutavanu i tiranni / sutt’on peri di dauru mantinni; / calaru l’angjleddi cu li parmi / dicennu: Bastianu, ‘cchianatinni. / Lassa l’oru, la sita e li panni: / la grazia di lu cielu ‘nterra scinni…"

Questi versi popolari, noti sia a Tortorici che a Maniace, ricordano il martirio di San Sebastiano, patrono di entrambi i paesi oltreché di Acireale, Avola, Mistretta e Melilli e protettore di altri centri della Sicilia orientale, e accennano al "dauru", l’alloro, l’albero al quale il martire sarebbe stato legato per essere trafitto dalle frecce dei soldati romani. A ricordo di quell’avvenimento in molti centri i rami di alloro vengono ancora portati in processione e abbelliti con nastri variopinti. A Maniace, la festa di S. Sebastiano fu stabilizzata solo nel 1937, quando gli immigrati tortoriciani, che prima facevano continuamente la spola tra Ducea Nelson e la "casa", il pace d’origine, di là dai Nebrodi, acquistarono una loro statua del Santo e iniziarono proprie celebrazioni.

Dai maniacesi quei lunghi rami d’alloro e di agrifoglio vengono condotti già una settimana prima nella chiesa di S. Maria di Maniace, al castello di Nelson, per la benedizione. Ma la festa vera e propria comincia la vigilia del 20 gennaio, con i vespri. Il simulacro del santo viene allora accompagnato fino alla chiesa del castello da una lunga processione che parte da contrada Margherito. In chiesa, quindi, si cantano i "vespri" e si benedicono i "panuzzi" di S. Sebastiano, che vengono distribuiti poi ai fedeli. La mattina del 20, nella chiesa Santa Maria si raccolgono tutti i maniacesi provenienti anche dalle borgate più lontane, per la messa e la processione e, prima ancora, per l’offerta dei doni, consistenti per lo più in ceri e vitellini, che vengono benedetti. Subito dopo la messa la statua del Santo viene trasportato di corsa dall’altare al fondo e viceversa e, prima dell’uscita dal castello, fatta girare per tre volte intorno alla grande croce celtica del cortile, monumento a Nelson, "l’eroe immortale del Nilo".

Quindi, ha inizio la processione vera e propria, lunga e faticosa. Portato a spalla dai "Nudi", i devoti vestiti di bianco e scalzi, che in tempi passati compivano il tragitto col Santo in spalla tra fango, neve e sassi, San Sebastiano farà il giro di tutte le borgate, anche delle più lontane per chilometri e chilometri. Una processione che ricorda un po’ la diaspora cui questa gente fu costretta per tanto tempo, l’infinito peregrinare attraverso le montagne da Tortorici alla Ducea, e che per toccare tutte le tappe, si concluderà solo una settimana dopo.

Le origini della festa di Tortorici, da cui si origina anche quella di Maniace, si fanno risalire al cosiddetto (diluviu), la disastrosa alluvione che nel 1682 devastò il paese. Secondo la tradizione, durante la tempesta la campana maggiore della chiesa di Santa Maria di Maniace precipitò con tutto il campanile, fu trascinata dalla corrente e scomparve nel fango. Qualche tempo dopo, dice ancora la tradizione, in paese arrivarono due pellegrini che a Roma, dove San Sebastiano era stato martirizzato e sepolto, avevano rubato due reliquie del martire e che quando cercarono di allontanarsi da Tortorici, al Torrente Calagni furono impediti nel cammino da una forza misteriosa.

Accorse gente e i due confessarono allora di avere addosso le reliquie del Santo mentre nel greto del Torrente si Apriva una voragine ed appariva la grande campana scomparsa. Da quel momento San Sebastiano divenne il patrono di Tortorici e fino al Torrente Calagni, in uno dei giorni della festa, si spinge ancora la processione dei “Nudi”, con il fercolo in spalla per ricordare quell’avvenimento. Una settimana prima della festa si svolge “a bura” il falò di inflorescenze di anpelodesmo sulle cui fiamme i giovani saltano spargendo brace dovunque mentre la domenica precedente ha luogo la “festa d’u dauru”, dell’alloro, con i Tortoriciani che scendono dalle loro case sui monti e fra i boschi recando lunghi rami dell’albero sacro ”a sam-Mastianuzzu” o di “darifogghiu”, l’agrifoglio guarniti di nastri.

Seguono quindi altre manifestazioni come la “fuitina della vara” che ricorda forse l’episodio dei due ladri di reliquie, la benedizione dei ”panitti” e i “vesturi” finché si arriva al giorno della festa e alle celebrazioni solenni in chiesa. Qui, davanti al fercolo attorniato da un nuvolo di bambini vestiti di bianco, è condotto un vitello promesso in voto pieno di nastri variopinti e di bende, che viene fatto inginocchiare davanti al Santo e restando da quel momento “di sua proprietà”. Quindi, verso mezzogiorno, ha inizio la grande processione della vara di San Sebastiano fino al Torrente Calagni e poi di casa in casa per la questua, fino al crepuscolo.

A sera il fercolo viene portato nella chiesa di S. Nicolò e li lasciato fino all’ottava, la domenica più vicina al 27-28 gennaio, quando sarà riportato fuori per la questua nei quartieri alti. La festa si considera quindi conclusa il Lunedì successivo all’ottava, con una messa di ringraziamento nella chiesetta di San Emerenziana, prima che il fercolo faccia ritorno alla chiesa madre.


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