Chiesa Santa Maria di Maniace

Ultima modifica 17 maggio 2022

Coeva al Duomo di Monreale, la chiesa di santa Maria di Maniace è un insigne monumento dell’arte romanica del dodicesimo secolo e sembra preludere al bel gotico cistercense per la sobrietà e la purezza dei suoi profili architettonici. L’interno, a pianta longitudinale, si dispiega su tre navate e si interrompe, quasi bruscamente, nella piatta parete di fondo all’altezza dell’arco trionfale, di cui rimangono tracce, oltre il quale sorgevano, originariamente, il transetto e le absidi orientate a levante, entrambi distrutti dal terremoto del 13 gennaio 1693.

Tuttavia lo spazio rimasto riesce ugualmente ad animarsi e ad affascinare con la fuga degli archi ogivali, ghierati dai conci di pietra arenaria gialla, sostenuti da due file di brune colonne in pietra lavica, alternativamente rotonde ed esagonali, che, insieme agli archi sovrastanti, si fondono anche nelle alte capriate lignee del soffitto che in qualche parte e nelle mensole a truciolo che sorreggono le travi conservano ancora tracce dell’antica decorazione. Completano le linee architettoniche dell’interno i filari delle finestre ad arco acuto che si aprono, a strombatura, nel profondo spessore dei muri dell’alta navata centrale e di quelle laterali rosseggiando sul bianco intonaco delle pareti del tempio per il cotto che ne riveste le superfici interne e gli estradossi. Il tutto crea un’avvolgente atmosfera di religioso silenzio e, ad un tempo, di arcano linguaggio che sembra provenire da tempi lontani.

Il sacro edificio custodisce, al suo interno, due esempi di scultura che nell’arte romanica è sola architettonica con la funzione, cioè, di adornare capitelli, portali, timpani, altari, etc. e che pertanto, ricorre al “rilievo schiacciato” o “basso rilievo” e “all’alto rilievo”, rifiutando il tutto tondo. E a rilievo schiacciato sono i motivi ornamentali del paliotto dell’altare composti da stilizzate volute di tralci vegetali, fogliami, infiorescenze, sui quali piccoli e profondi fori praticati ad arte col trapano creano un sapiente gioco di chiaroscuri. Un’altra splendita sfortuna a basso rilievo è rappresentata dalle due figure marmore dell’Angelo annunziante e della Vergine delle quali si sconosce il sito originale, apposte, dopo il terremoto, alla parete centrale. Sulla figura della Vergine sembrano riassumersi molti dei canoni del basso rilievo romanico: la rigidità e, insieme, l’atteggiamento ieratico del personaggio, la posizione frontale del volto, la fissità dello sguardo, le pieghe delle vesti, i piedi disposti uno accanto all’altro. L’esterno della chiesa ha le superfici murarie formate da materiali poveri: ciotoli, nude pietre irregolari di diverse dimensioni e colori, mattoni e pietrisco, legati insieme con calce e sabbia. Tuttavia l’insieme risulta solenne caldo e luminoso e la facciata principale s’infiamma alla luce del tramonto.

L’orlo dei tetti inferiori è dato dalle semplici tegole supportate in perfetto stile romanico, da una teoria di mensole al contrario dell’orlo dei tetti superiori costituito da una vistosa grondaia “alla cappucina” prodotta dall’ultimo lavoro di restauro non in ortodossa di stile. La facciata principale, spoglia e semplice, segue, architettonicamente, la diversa andatura, in larghezza e in altezza, delle navate e dei tetti con rialzo, dunque, della parte centrale della sovrastata, a sua volta, dalla torretta campanaria creando così un effetto “a salienti” e piramidale tipico di certe facciate romaniche. Su questa facciata s’apre in alto una grande e armoniosa finestra ogivale ghierata da pietra lavica mentre in basso è incastonato il bellissimo portale a sesto acuto, stombato e polilobato da archi concentrici e da file di colonnine in marmo, in porfido, in arenaria, sormontate da capitelli tipicamente romanici, cioè istoriati, dal momento che gli artisti romanici sono stati i primi e gli ultimi a raffigurarli per imprimervi un simbolismo o per narrarvi una storia.

Volutamente rivolto, al contrario dell’altare e delle absidi che guardano ad oriente, il portale di Maniace è, secondo un simbolismo cristiano, raffigurazione della notte, delle tenebre, del male e, dunque, del peccato che viene simboleggiato e istoriato sui capitelli. Il fedele che sta per varcare le soglie del tempio è invitato a prendere con sano realismo, coscienza del male anche se lo lascia alle spalle per incamminarsi verso la luce e la grazia rappresentante dell’abside. Ed è per questo che dai capitelli di sinistra viene fuori una sarabbanda di esseri selvaggi e mostruosi, animali con due corpi ed una testa, bestie intrecciate dai corpi ibridi con teste umane. I capitelli di destra aprono con la scena del vizio: una donna nuda, in atteggiamento equivoco, abbraccietto con due galli antropocefali. Segue la rappresentazione di Adamo ed Eva cacciati dall’Angelo che nascondono la loro nudità. In coordinata successione vengono rappresentate le conseguenza del peccato: la condanna al lavoro, il drammatico fraticidio, la caccia, la guerra.


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