Le lotte contadine

Ultima modifica 17 maggio 2022

Ad alleviare, nelle campagne, le pesanti condizioni di vita intervennero le prime leggi dello Stato che portarono la ripartizione dei prodotti della terra al 50 per cento tra il proprietario e il contadino e, in seguito, a partire dal 1944, al 60 per cento a favore di quest'ultimo. Stabilirono, infine, che dovevano assegnarsi ai lavoratori associati le terre lasciate incolte dai baroni. L'amministrazione ducale tentò di eludere le leggi con ogni mezzo, invocando persino, sulle proprie terre, il diritto di extra-territorialità. Pertanto, a partire dal 1945 ebbe inizio nel feudo Nelson, come altrove, il movimento contadino per l'applicazione delle leggi riguardanti una più equa ripartizione del prodotto e l'assegnazione delle terre incolte.

La lotta contadina divampava per tutto il meridione d'Italia. Molti braccianti scesi in sciopero per l'applicazione della legge caddero sotto il piombo delle forze di polizia. Lo Stato pervenne, allora, ai primi provvedimenti legislativi di riforma agraria a favore del Mezzogiorno. Anche il Parlamento siciliano, nel dicembre del '50, votava la riforma, prevedendo lo scorporo di una vasta porzione di feudi baronali da lottizzare ed assegnare ai braccianti.
Il continuo sommovimento contadino, iniziato e tenuto desto dalle sinistre anche sul feudo Nelson, lo spettro incombente dell'esproprio in forza della legge siciliana di riforma, considerazioni di natura politica e pressioni delle autorità tutorie dell'ordine pubblico, avevano indotto il duca di Maniace, già prima della promulgazione della legge di riforma, a predisporre un piano di vendite "volontarie". Queste vennero effettuate per lo più negli anni '50/'52. E si trattò di atti di vendita - riguardanti circa 1.600 ettari di terreno - stipulati, in parte, con libera contrattazione, in parte, regolamentati dalla legge del 4-2-1948, fautrice della formazione della piccola proprietà contadina. Agli inquilini del duca fu data la precedenza sull'acquisto delle terre. A coloro che non avevano denaro fu detto di farselo prestare. Ma chi non comprava doveva abbandonare il feudo.

I contadini si indebitarono e quelli che non poterono acquistare furono cacciati via. Contro tale fenomeno, diffusosi in tutte le terre della Sicilia baronale, reagirono i partiti di sinistra, le associazioni sindacali "Federterra" e "Liberterra" e alcuni giovani parlamentari democristiani, soprannominati "Giovani turchi", reclamando l'immediata applicazione della legge di riforma.
Le proteste vennero recepite dall'Ispettorato Regionale per l'Agricoltura che, con proprio decreto, dichiarò nulla l'intera operazione di vendita attuata dai latifondisti, perché condotta, fra l'altro, dopo i termini conseguiti dalla legge di riforma del 28-12-'50 e sottopose a scorporo il feudo Nelson per una superficie di circa 4.000 ettari, includendovi anche i terreni già venduti. L'intero feudo ammontava a 6.594 ettari. Contro il decreto il duca, nel dicembre del '51, inoltrò ricorso all'Assessorato regionale per l'Agricoltura e le Foreste. Il processo di riforma agraria venne a subire una lunga fase d'arresto. Nel frattempo circa 1200 ettari di terreno ducale passavano all'Azienda forestale dello Stato per essere sottoposti a rimboschimento.

Ad alleviare, nelle campagne, le pesanti condizioni di vita intervennero le prime leggi dello Stato che portarono la ripartizione dei prodotti della terra al 50 per cento tra il proprietario e il contadino e, in seguito, a partire dal 1944, al 60 per cento a favore di quest'ultimo. Stabilirono, infine, che dovevano assegnarsi ai lavoratori associati le terre lasciate incolte dai baroni. L'amministrazione ducale tentò di eludere le leggi con ogni mezzo, invocando persino, sulle proprie terre, il diritto di extra-territorialità. Pertanto, a partire dal 1945 ebbe inizio nel feudo Nelson, come altrove, il movimento contadino per l'applicazione delle leggi riguardanti una più equa ripartizione del prodotto e l'assegnazione delle terre incolte.

La lotta contadina divampava per tutto il meridione d'Italia. Molti braccianti scesi in sciopero per l'applicazione della legge caddero sotto il piombo delle forze di polizia. Lo Stato pervenne, allora, ai primi provvedimenti legislativi di riforma agraria a favore del Mezzogiorno. Anche il Parlamento siciliano, nel dicembre del '50, votava la riforma, prevedendo lo scorporo di una vasta porzione di feudi baronali da lottizzare ed assegnare ai braccianti.
Il continuo sommovimento contadino, iniziato e tenuto desto dalle sinistre anche sul feudo Nelson, lo spettro incombente dell'esproprio in forza della legge siciliana di riforma, considerazioni di natura politica e pressioni delle autorità tutorie dell'ordine pubblico, avevano indotto il duca di Maniace, già prima della promulgazione della legge di riforma, a predisporre un piano di vendite "volontarie". Queste vennero effettuate per lo più negli anni '50/'52. E si trattò di atti di vendita - riguardanti circa 1.600 ettari di terreno - stipulati, in parte, con libera contrattazione, in parte, regolamentati dalla legge del 4-2-1948, fautrice della formazione della piccola proprietà contadina. Agli inquilini del duca fu data la precedenza sull'acquisto delle terre. A coloro che non avevano denaro fu detto di farselo prestare. Ma chi non comprava doveva abbandonare il feudo.

I contadini si indebitarono e quelli che non poterono acquistare furono cacciati via. Contro tale fenomeno, diffusosi in tutte le terre della Sicilia baronale, reagirono i partiti di sinistra, le associazioni sindacali "Federterra" e "Liberterra" e alcuni giovani parlamentari democristiani, soprannominati "Giovani turchi", reclamando l'immediata applicazione della legge di riforma.
Le proteste vennero recepite dall'Ispettorato Regionale per l'Agricoltura che, con proprio decreto, dichiarò nulla l'intera operazione di vendita attuata dai latifondisti, perché condotta, fra l'altro, dopo i termini conseguiti dalla legge di riforma del 28-12-'50 e sottopose a scorporo il feudo Nelson per una superficie di circa 4.000 ettari, includendovi anche i terreni già venduti. L'intero feudo ammontava a 6.594 ettari. Contro il decreto il duca, nel dicembre del '51, inoltrò ricorso all'Assessorato regionale per l'Agricoltura e le Foreste. Il processo di riforma agraria venne a subire una lunga fase d'arresto. Nel frattempo circa 1200 ettari di terreno ducale passavano all'Azienda forestale dello Stato per essere sottoposti a rimboschimento.


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